STORIA DI CICOGNI - Proloco Cicogni

Pro loco Cicogni Alta val Tidone (PC)
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STORIA DI CICOGNI

L'etnografo francese Charles Walckenaer nella sua opera ''Geographie ancienne historique et comparee des Gauls cisalpine et transalpine'', identifica Cicogni con il ''fundus Sicconianus'' della Tabula Alimentaria Traianea di Velleia. Aldilà di tale attribuzione, la frazione di Cicogni viene citata a partire dall'VIII secolo nelle carte dell'abbazia di San Colombano di Bobbio.
Proprio a Cicogni, intorno al 1170, nasce il cardinale Jacopo da Pecorara, insigne diplomatico del XIII secolo: "uno dei più grandi cardinali di Santa Romana Chiesa", come ebbe a definirlo papa Pio XI.
Passato quindi ai Dal Verme (infeudati della Val Tidone dai Visconti nel 1378), Cicogni venne da questi dato in feudo a Facino Mascaretti il 4 giugno 1430, come si evince dalla bolla conservata presso l'Archivio di Stato di Verona.
Con la Pace di Aquisgrana (1748), Cicogni divenne dogana del Ducato di Parma e Piacenza: ospitava una guarnigione con un Capitano, una prigione per i contrabbandieri nonché un Ricevitore (funzionario amministrativo delle dogane ducali).
Nel 1812 l'applicazione dell'Editto di Saint Cloud rese necessaria la sistemazione del sagrato: il Vescovo di Piacenza invitò la popolazione ad approfittarne per riedificare la Chiesa parrocchiale, in pessime condizioni ed ormai troppo piccola per accogliere i fedeli. Il suo voto venne esaudito.
Nel 1836 il paese (come gran parte d'Europa) venne colpito da una epidemia di colera: i Cicognesi, come si legge negli Archivi parrocchiali, fecero voto alla Madonna delle Grazie di dedicarle - quale giorno festivo - anche il lunedì seguente la festa patronale (che cade la 2° Domenica d'agosto). Miracolosamente, l'epidemia cessò.
Con l'Unità d'Italia, Cicogni riprese la sua vita di tranquillo borgo agricolo. La guerra civile (1943-45) vide le scorribande di tedeschi e mongoli (truppe ausiliarie dei tedeschi): diversi partigiani vennero sorpresi e fucilati in paese o nelle immediate vicinanze.
Negli anni '50 risentì dello spopolamento dell'Appennino, e molti emigrarono nelle grandi città. Ora, dopo anni di lavoro, tornano a godere il riposo e la quiete dell'alta Val Tidone nel loro paese natìo, risistemando le tipiche case in pietra.
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